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La durata delle indagini preliminari. Profili di una patologia

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La crisi che colpisce oggi le indagini preliminari traspare in modo inequivoco dai dati ministeriali e dalle statistiche CEPEJ che fotografano frequenti ritardi sulle cadenze di codice, una diffusa penuria di organico e uffici spesso sovraccarichi; fa da contraltare il richiamo all’efficienza che caratterizza la riforma Cartabia, impegnata a rivedere la cronometria investigativa proprio nel senso di garantire un accertamento completo e rapido, che sia utile base per un percorso processuale del pari efficiente.
Il lavoro muove da questa premessa per esaminare le prassi che, negli anni, si sono sedimentate nel rapporto tra i soggetti delle indagini e che, talora, hanno segnato frangenti di aperta divergenza rispetto all’ortodossia codicistica. Si guarda, così, ai segmenti esplorativi che anticipano l’iscrizione della notitia criminis – svincolati da qualsiasi riferimento normativo – e agli usi dei registri del pubblico ministero, capaci di comprimere – e, talora, di annullare – le prerogative della difesa; non manca un approfondimento sulla fase conclusiva dell’inchiesta, sul regime degli atti compiuti dopo il termine finale e sulle ricadute che eventuali ritardi producono sul prosieguo del procedimento.
L’esame degli orientamenti giurisprudenziali – talvolta inclini ad accettare pratiche devianti – e dei prolegomeni alla riforma induce ad apprezzare il richiamo alla legalità come unica soluzione alla crisi e come veicolo di un’efficienza del procedere che sia anche qualità del medesimo e dei provvedimenti che ne esitano.

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